Voucher: i dati provinciali dell’Emilia-Romagna al primo semestre 2016

Ammetto che scrivere l’ennesimo post sul tema voucher non mi entusiasma. Questo, soprattutto, perché dalla ricerca commissionata dall’IRES ER, di cui ho detto qui, non mi pare ci siano novità particolarmente significative. Certo, gli ultimi dati diffusi dall’INPS, relativi a giugno 2016, offrono l’opportunità per qualche osservazione sul primo semestre, ma a parte il fatto che quello accessorio è il solo lavoro la cui crescita è indiscutibile, si tratta di dettagli. Come, ad esempio, il fatto che con 1.668.886 buoni l’Emilia-Romagna si conferma per il terzo mese consecutivo la seconda regione per acquisto di voucher, superando il Veneto (1.580.832). Si tratta di dettagli, dicevo,  tanto più che, sull’intero semestre, è il Veneto a mantenere il primato nel nord-est e che potrebbe mantenerlo anche nel secondo, visto che nel secondo semestre del 2015 il ricorso al voucher nella regione è cresciuto più che in Emilia-Romagna (48% a fronte del 45%).

voucher venduti (equiv. 10 euro) al primo semestre 2016, per Regione
voucher venduti (equiv. 10 euro) al primo semestre 2016, per Regione

Se in questo intervento può rintracciarsi una qualche utilità, insomma, non è tanto nel commento ai dati diffusi dall’INPS nell’osservatorio del precariato, quanto nei dettagli provinciali e merceologici del ricorso ai voucher in Emilia-Romagna.

Una prima lettura della tabella, in realtà, l’avevo già fornita nella lunghissima intervista a Rimini 2.0, ma prima di una sua diffusione ho preferito attendere quella ufficiale dei dati regionali.

voucher venduti (equiv. 10 euro) in Emilia-Romagna al primo semestre 2016, per attività e province


Già in quell’occasione, tra le tante cose dette, avevo osservato come qualsiasi ragionamento sui settori di attività deve tenere conto del fatto che il 56,9% dei voucher venduti in ER risulti non classificato in nessuna attività. Il problema nasce nelle modalità di attivazione. Infatti, se ho ben capito il funzionamento della maschera di inserimento dati, non è possibile selezionare attività diverse da quelle specificate e che sono, poi, quelle precedenti la liberalizzazione dello strumento a tutti i settori del 2012.

Non sappiamo, quindi, se quel 56,9% è ascrivibile ad altri settori, né se, o in quali proporzioni, una quota di quel 56% debba ricondursi ai settori già previsti. Ciò detto, il 13% dei voucher venduti in regione sono stati acquistati da imprese operanti nel turismo, il 12% nel commercio e il 9% nei servizi. Marginali, invece, gli altri comparti, a partire dall’agricoltura che, con l’1,1%, è l’unico comparto nel quale è prevista una qualche limitazione soggettiva di utilizzo.

Tra le province, il primato spetta  a Bologna, che con 1.941.609 voucher venduti incide per il 22% del totale. Seguita da Modena, con il 17% (1.503.729 buoni venduti) e Rimini che con 1.062.132 voucher ha un peso  del 12% sul totale della regione. Reggio nell’Emilia e Ravenna sono le uniche due province, tra le restanti, ad avere un peso superiore al 10% del totale.

Entrando più nel dettaglio, si può osservare come ciascuna provincia si caratterizzi per una distribuzione parzialmente diversa dalla media regionale. Provo a sintetizzare le evidenze più significative, lasciando il resto dei dati nelle due tabelle in basso.

Nel bolognese le attività in cui è maggiore il ricorso ai voucher sono il commercio (13,4%) e i servizi (10,9%). Solo l’8,6% dei voucher venduti è ascrivibile ad attività del settore turistico.

Con il 61% di voucher non attribuiti ad alcuna attività, Modena è la provincia per la quale abbiamo le informazioni più scarse. Anche nel modenese, comunque, tra i settori di utilizzo conosciuti prevalgono quelli del commercio (9,6%), dei servizi (9,2%) e del turismo (8,4%), ma nessuno di questi arriva al 10%.

Al contrario, quella di Rimini è la provincia che offre la lettura più semplice visto che è la sola in cui oltre della metà dei voucher venduti (il 51,9%) è riconducibile ad un qualche settore. Oltre 1/4 dei buoni venduti, poi, è stato acquistato da attività operanti nel turismo (26,2%), rimettendo ancora una volta in questione il significato che si può attribuire al concetto di accessorietà. Questo, in primis, perché il turismo è un comparto centrale nel riminese. Ma, soprattutto, perché dal punto di vista del lavoro l’utilizzo del voucher aggrava la precarietà lavorativa propria di un comparto soggetto a forte stagionalità e informalità. Ecco perché, la supposta emersione del lavoro operata dal voucher, che regolarizza la sola transazione economica, è esclusivamente contabile e non ha nulla a che fare con la regolarizzazione del lavoro.

Questo ragionamento non vale solo per il riminese. Complessivamente, infatti, il 42,8% dei voucher acquistati in regione da attività operanti nel turismo è suddiviso tra Rimini (24,3%), di cui ho detto, e Ravenna (18,5%). Per dare l’idea della concentrazione, basti osservare che a Bologna, la provincia dell’ER in cui sono stati acquistati più voucher, sono riconducibili solo il 14,6% dei voucher acquistati nel comparto turistico.

Gli altri comparti per i quali il peso del bolognese non è il più significativo sono l’agricoltura e il giardinaggio e pulizia. In entrambi i comparti pesano di più le attività modenesi con, rispettivamente, il 21,9% e il 23,5% dei voucher complessivamente venduti in regione  nei due settori.

Rispetto alle altre province e settori, invece, credo di poter limitare le mie annotazioni al fatto che Reggio nell’Emilia sia la provincia in cui il ricorso al voucher in agricoltura pesa di più (1,6% sul totale dei voucher venduti nella provincia) e che l’acquisto dei buoni nella provincia di Parma è più frequentemente ascrivibile al commercio (14,1% dei voucher venduti nella provincia) che altrove nella regione.

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