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Il “patron!” è il “padrone!” [SPOILER]

Io di cinema non so praticamente nulla. E infatti, chi avesse bisogno di un commento preciso su Merci Patron!, il fenomenale film di François Ruffin proiettato ininterrottamente in Francia dal 24 febbraio, dovrebbe assolutamente andare a cercare altrove, come ho fatto io, e leggere, tra le altre cose, quanto scritto da Luca Acquarelli nel suo post Stupire la catastrofe: “Merci patron!”. E lo dico sinceramente, anche se poi è proprio un’insopportabile ingenuità di quel commento ad avermi portato a queste righe.

Locandina del film Merci Patron! - di François Ruffin
Locandina del film Merci Patron! – di François Ruffin

Prima di affrontare la questione che mi sta a cuore mi sento di dover riprendere, per sommi capi, ciò che avviene nel docufilm di Ruffin. L’idea del giornalista d’inchiesta, e fondatore di Fakir, è geniale: indossando una maglietta con scritto I love Bernard, la sua missione è quella di riconciliare gli ex-dipendenti delle fabbriche tessili della francia settentrionale a Bernard Arnault, il ricco proprietario del marchio LHVM che negli ultimi anni ha iniziato a fare la spesa di aziende in crisi anche in Italia. La missione è davvero difficile, Arnault, infatti, preferendo l’esotica organizzazione del lavoro asiatica e dell’est-europeo, ha avviato un processo di delocalizzazione massiccio, riducendo in miseria i suoi ex-dipendenti. Tra questi c’è la famiglia Klur che, per via delle difficoltà economiche conseguenti ai licenziamenti, oltre a non potersi permettere un pasto completo a Natale, sta per perdere la casa. È a questo punto che Ruffin si spoglia dei panni dell’estimatore del ricco Arnault per mettersi in quelli del figlio della famiglia Klur. A nome della famiglia appena adottata, infatti, scrive direttamente ad Arnault, intimandogli di saldare il debito che riguarda la casa e, in secondo luogo, di dare a suo padre, il signor Klur, un nuovo lavoro a tempo indeterminato. Se tutto ciò non dovesse avvenire, questa è la minaccia di Ruffin, tutte le malefatte del gruppo saranno date in pasto alla stampa e ai sindacati e ai Mélenchon etc.

Manco a dirlo, Arnault, o chi per lui, abbocca al ricatto e invia un solerte scagnozzo ad appianare il tutto. Sembra incredibile, ma, come ha spiegato l’energumeno inviato da Arnault, i ricchi non amano che si mettano le loro cose in piazza ed ecco perché accettano le condizioni dei Klur a patto del loro silenzio. Se siamo qui a scrivere (e a leggere) delle vicende della famiglia Klur è evidente che il silenzio non c’è stato, almeno non a lungo, visto che quelle vicende risalgono al 2013. Nonostante ciò, il ricatto ha sortito l’effetto sperato e prima della fine del film spettatori e Klur tirano un sospiro di sollievo. Su come il mancato silenzio, da un lato, sia compatibile con il successo del ricatto, dall’altro, lascio che sia la visione del film a chiarirlo, evitando un ulteriore, maldestro, spoiler.

Come dicevo, comunque, di tutto questo ne parlano altri, ben più attenti ai dettagli di me. L’attenzione al dettaglio non basta, però, a spiegare il film se, come fa Luca Aquerelli, si ha il dubbio su quale debba essere la più corretta traduzione italiana del titolo. Non contento della traduzione letterale reperibile facilmente on line, infatti, Acquerelli si cimenta in un ragionamento che lo porta da “grazie principale” all’arlecchinesco – dice lui – “grassie paròn”.   Ovviamente il riferimento all’articolo di Acquerelli qui è un pretesto, ma il dubbio che si pone, e che spero non incida sulla possibile traduzione italiana del film, costituisce un’ingenuità che mal si accosta al riferimento alla “banalità del male del capitalismo globalizzato” – come dice lui stesso – messa a nudo da Ruffin.

Ciò che fa Ruffin, infatti, è ribaltare i termini del ricatto che quotidianamente informa la vita di milioni di persone e che, questa è la sua forza, diamo per scontato. Per questo il successo dell’operazione di Ruffin è così importante, perché rompe la normalità di quel sistema di credenze svelandola per l’ingiustizia che normalizza.

Patron, insomma, in italiano si dice padrone e non c’è altro modo di tradurlo. Questo non significa che non mi renda conto che, in Italia, l’idea che padroni e lavoratori siano “sulla stessa barca” sia ben più radicata di quanto le scaramucce – almeno al confronto con le vicende francesi – tra sindacati e governo lascino intendere. Ma, proprio per questo, proverei a cogliere l’occasione data dall’entusiasmo trasmesso dal film per restituire il giusto senso delle posizioni che ciascuno occupa, rifiutando qualsiasi socialdemocratica edulcorazione.

Video di Merci Patron, del gruppo comico Les Charlots. Il brano, del 1975, ha dato il titolo e la colonna sonora al film di François Ruffin.

In Francia il film è nelle sale da ormai più di due mesi, del tutto integrato all’ampio e vivace movimento di protesta scatenatosi contro la Loi Travail del ministro El Khomri, il cosiddetto JobsAct à la francese, in discussione all’Assemblée Nationale proprio in questi giorni. Capirne la ragione non è difficile. Se è vero che ai ricchi non piace che si mettano le loro cose in piazza, è evidente che lo stare in piazza ad oltranza, come nelle intenzioni della #nuitDebout, è un’irrinunciabile quanto urgente forma di riappropriazione.