Lavorare in nero in Italia è sempre più difficile¹. Sia chiaro, non c’entrano nulla il senso civico, la responsabilità sociale o l’inasprimento dei controlli. Si tratta, piuttosto, del lungo processo di deregolamentazione che ha formalizzato, rinominandolo, ciò che fino a qualche anno fa sarebbe stato considerato non solo informale, ma persino un sopruso. Quindi, perché il datore di lavoro dovrebbe voler rischiare una denuncia da parte del lavoratore non dichiarato quando può pagarlo senza neppure il bisogno di assumerlo?

Questa è, in estrema sintesi e non senza un filo di partigianeria, la ratio che sta dietro al Voucher, o buono lavoro. Basta andare all’INPS e  registrare il codice fiscale del lavoratore, si acquistano i Voucher a 10 euro l’uno e possono poi essere usati per retribuire direttamente il lavoratore. Dei 10 euro di valore nominale il lavoratore percepirà 7,5 euro che dovrebbe essere la paga oraria minima – ebbene sì, anche in Italia c’è una specie di soglia minima legale. I restanti 2,5 euro vanno all’INAIL, all’INPS e al gestore del servizio. Già, perché per cambiare il buono in denaro basta andare in una tabaccheria, alle poste in banca o all’INPS stesso.

Non serve un contratto scritto, non ci sono limiti di prestazione o altre lungaggini burocratiche, nessuna prestazione di sostegno al reddito alla fine dell’accordo, non c’è maternità, non c’è indennità di malattia. Nulla, solo l’accordo diretto tra lavoratore e datore di lavoro, improvvisamente divenuti uguali.

L’istituto esiste dal 2008, ma con il Jobs Act ne è stata ampliata la possibilità di utilizzo, fino a 7 mila euro per il lavoratore, limite che però non potrà raggiungere con un solo datore dato che ciasun datore ha a disposizione 2 mila euro per uno stesso lavoratore.

Fatta la premessa, veniamo a noi. Ogni mese l’Osservatorio sul precariato, l’INPS fornisce i dati dell’uso dei Voucher per regione (un’analisi completa sui pochi dati disponibili è questa di M. Fana). Le tre mappe nel post sono state realizzate ridisegnando i confini amministrativi regionali sulla base del valore nominale acquistato in Voucher per ciascuna regione nei primi sei mesi del 2013, 2014 e 2015. I colori delle varie regioni rappresentano, invece, la variazione su base annuale o biennale.

La distorsione dei confini è una tecnica di rappresentazione molto suggestiva. Sul sito Worldmapper, ad esempio, sono archiviate centiania di mappe realizzate con i dati più diversi e dalle forme più assurde. Ciò detto, per ottenere una maggiore distorsione si devono utilizzare dati grezzi e non standardizzati. Usare delle percentuali, ad esempio, magari che tenegano conto della demografia, faciliterebbe un confronto tra le regioni, ma limiterebbe la varianza e, di conseguenza, le geometrie possibili.

Ecco perché nelle mappe sono rappresentati, simultaneamente, due tipi di informazioni. La prima, il valore assoluto dell’ammontare acquistato in Voucher che enfatizza la misura. La seconda, la variazione di questo ammontare sull’anno o sugli anni precedenti, così da facilitare il confronto.

Nelle tre mappe si evidenza come nel triennio la gran parte del valore acquistato è riconducibile alla Lombardia, al Veneto e all’Emilia-Romagna. Tra il primo semestre del 2013 e il prmo semestre del 2015, inoltre, Lombardia ed Emilia-Romagna hanno incrementato il valore acquistato in Voucher di oltre il 300%¹. In Emilia-Romagna, ad esempio, si è passati dai 2.352.983 voucher del I semestre del 2013 ai 7.832.391 del I semestre del 2015 ², un incremento di oltre il 332%.

Nello stesso periodo, fanno registrare incrementi di oltre il 350% regioni come la Puglia, la Liguria, la Valle d’Aosta, la Toscana, il Molise e le Marche con, rispettivamente, il 460%, il 414%, 383%, 380%, 362% e il 352%. Complessivamente, passando dai 19.943.710 del primo semestre 2013 ai 61.933.279 del 2015, in Italia l’incremento del ricorso al dispositivo è del 311%.

L’idea che sottostà al Voucher è quella di regolarizzare il lavoro saltuario e difficilmente riconducibile alla fattispecie di subordinazione. Certo, per quanto mi riguarda più che di emersione mi pare si stia delineando il profilo di una nuova trappola per le fasce più deboli del Mercato del lavoro, ma, con i soli numeri, non è possibile uscire dal campo delle ipotesi. Quelli bastano, però, per dire che in Italia sta succedendo qualcosa che andrebbe indagato meglio, tanto più oggi, in una fase in cui il continuo ricorso allo spot della creazione dei posti di lavoro non lascia spazio a nessuna critica o approfondimento sulla qualità di quel lavoro.

¹ Ovviamente vuole essere una provocazione, in Italia tra il 2008 e il 2012 il lavoro nero è aumentato del 3,9%, il 12,7% nel Mezzogiorno. È diminuito, invece, del 2% nel centro-nord. I dati regionali elaborati da Paolo Di Caro su lavoce.info.