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Essere o non essere… Charlie Hebdo

Scrivere sui fatti di Parigi non è facile, né, soprattutto, è obbligatorio. Eppure la velocità con cui l’hashtag #jeSuisCharlie e #CharlieHebdo sono entrati nella top tweet sembrerebbe indicare il contrario.

Tutti sono Charlie, ma non è vero. Anzi, magari lo fossero. E non lo dico tanto per il giornale in sé, che non ho mai comprato né letto integralmente,  lo dico perché nel coro di quanti affermano di essere Charlie si nascondono – e nemmeno troppo – i tracotanti “l’avevo detto” di chi si riempie di quelle stesse verità che Charlie Hebdo normalmente deride. Lo dico perché se tutti quelli che oggi si sentono Charlie lo fossero quotidianamente almeno la metà, allora sarebbero insorti ad ogni occasione di censura e denuncia subite per una satira considerata eccessiva (in Italia ne sappiamo qualcosa). Lo dico perché, come ben scritto su opendemocracy.net, allora non avrebbero paura della critica fatta e subita.

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Ho visto questa copertina di CharlieHebdo sul sito di SpondaSud

E probabilmente è anche nella consapevolezza di questo che la solidarietà, la tristezza e il disgusto per la strage di ieri non passano solo per l’identità con Charlie. Anzi, proprio in contrapposizione al  dilagante #JeSuisCharlie, aumentano i messaggi di solidarietà contrassegnati dall’hashtag #JeNeSuisPasCharlie (io non sono Charlie), di quanti – non tutti – vogliono esprimere la propria condanna alla strage pur non identificandosi con le posizioni – cito – “offensive, islamofobe, omofobe, sessiste etc..” del settimanale. A questi misento di avvicinare, almeno idealmente,  i tweet di quelli che sono Ahmed (#JeSuisAhmed), che identificandosi con il poliziotto ucciso in strada, musulmano, ricordano che ad uccidere sono le armi e non i libri.

A conti fatti, credo che se Charlie potesse twittare, dopo aver preso per il culo chi parla dell’occidente come terra di libertà, dopo aver preso per il culo i suoi ex-delatori per le loro reazioni pubbliche, dopo aver preso per il culo quanti affermano di essere un sacco di cose senza conoscerle davvero, limiterebbe il suo messaggio a quello stesso #NotInMyName che musulmani di ogni luogo, in queste ore, stanno aggiungendo ai loro tweet per prendere le distanze da azioni che nulla hanno a che vedere con l’islam.

Insomma, così come non basta essere islamofobo per essere Charlie, così non basta essere musulmano o immigrato per essere un assassino. Ma so già che questo andrà ripetuto spesso, con più determinazione, nelle prossime ore, ecco perché chiudo il post con uno scaramantico, preventivo, #NotInMyName.