Finzione a parte, infatti, il contratto di lavoro per come lo conosciamo oggi nasce a termine proprio in contrapposizione allo schiavismo. Nel Codice di Napoleone il Grande, 1812, l’obbligo di limitare il contratto d’opera era sintetizzato nella semplice formula “Nessuno può obbligare i suoi servigi che a tempo, o per una determinata impresa” (Art. 1780, Sezione I Capo III, Libro III, Titolo VIII).
I padroni se ne approfitteranno… ovvero, la nascita del contratto a tempo determinato
Finzione a parte, infatti, il contratto di lavoro per come lo conosciamo oggi nasce a termine proprio in contrapposizione allo schiavismo. Nel Codice di Napoleone il Grande, 1812, l’obbligo di limitare il contratto d’opera era sintetizzato nella semplice formula “Nessuno può obbligare i suoi servigi che a tempo, o per una determinata impresa” (Art. 1780, Sezione I Capo III, Libro III, Titolo VIII).
Il contratto di lavoro a termine costituiva, insomma, la garanzia della libertà del lavoratore dalla schiavitù del lavoro sotto padrone.
Solo più tardi, con il capitalismo avanzato, i lavoratori avrebbero conosciuto la schiavitù dello stato di bisogno, fondamento del ricatto lavorativo e quindi garanzia per l’accumulazione capitalista. In questa fase il contratto a tempo indeterminato sembra perciò accontenti tutti (o molti), finché il capitale non incontra le incredibili possibilità di accumulazione e remunerazione della finanza, inevitabilmente maggiori di quelle ottenute con il “normale” sfruttamento del lavoro. É lì che il lavoro passa da costo necessario a costo inaccettabile e che il contratto a termine si trasforma in elemento di libertà per le aziende.
Oggi, con i primi decreti attuativi del jobs act di Renzi le imprese sono solo un po’ più libere e come ieri, come a Meereen, “i padroni se ne approfitteranno”.